“Chiudo gli occhi. Che diavolo ci faccio qui? Che ci faccio in questa periferia desolata, sotto un sole cocente, senz’acqua e mezza morta di stanchezza e di caldo? Come ho potuto essere talmente incosciente da avventurarmi qui da sola, trascinandomi dietro un bambino di otto anni? Perché mai mi è venuto in mente di mettermi in cammino? Mi viene pure da piangere, ecco, lancerei lo zaino contro il muro. Lo odio, questo zaino, non ne posso più né di lui né di tutta la polvere che sto mangiando. Perché, mi chiedo, perché?
“Mamma! Cosa c’è scritto su quel muro?”
Mi fermo a leggere.
Polvo, barro, sol y lluvia
es camino de Santiago.
Millares de peregrinos
y más de un millon de años.
Peregrino: ¿Quién te llama?
¿Qué forza oculta te atrae?
Già, è quello che mi chiedo anch’io, che cosa mi spinge a continuare? Continuo a leggere incuriosita. Sembra una poesia, mano a mano che leggo traduco per Johann. Che forza sconosciuta ti attira, pellegrino? Non è il Campo delle Stelle, non sono le grandi cattedrali, né la bellezza del paesaggio, né la storia di questi luoghi. Che cos’è, allora? Chi, chi ti ha messo in cuore questa sete di infinito?
L’ultima frase mi arriva come uno schiaffo: “Solo el de Arriba lo sabe.”
“Bella, mamma. Dai, andiamo!”
Andiamo. La stanchezza sembra scomparsa. Andiamo.”
(Fotografia e testo di Elisabetta Orlandi – Tutti i diritti riservati)
da Unmilioneottocentomila passi. Io, il mio bambino e il Cammino di Santiago, E. Orlandi, Edizioni Paoline, 2012