“Ci si abitua in fretta al nomadismo.
La routine dei gesti, dei movimenti, ci aiuta a costruire la nostra identità di camminanti e il resto del mondo è quasi un contorno al nostro andare. Dei luoghi che attraversiamo conosciamo solo quanto è legato al Cammino, l’unica cosa reale di questi strani, meravigliosi giorni fuori dal tempo e dal modo di vivere gli spazi cui eravamo abituati.
La casa è lo zaino, il sacco a pelo è la camera da letto, il nécessaire con spazzolino e sapone è il bagno, il guardaroba è quello che indossiamo, la famiglia sono i compagni di Cammino, i giorni della settimana hanno i nomi delle tappe. Abbiamo per noi enormi giardini di papaveri, la luce del sole, il vento, concerti di rondini e di grilli, l’arte dei costruttori di abbazie e cattedrali.
Le città, i paesi, sono punti da unire passo dopo passo, in una geografia mobile e mutante ricostruita attraverso fotografie, ricordi, stralci di diario, scontrini del bar, volti, episodi, incontri: dunque, Logroño è dove vive un’anziana madre che ci ha salutati con amore fra le lacrime, è dove ci sono le cicogne sui campanili, dove faceva caldo ma la piscina era chiusa.”
(Fotografia e testo di Elisabetta Orlandi – Tutti i diritti riservati)
da Unmilioneottocentomila passi. Io, il mio bambino e il Cammino di Santiago , E. Orlandi, Edizioni Paoline, 2012