L’inattesa meraviglia, Aemme Edizioni, Verona, 2010
(fuori catalogo, per info contattami!)
dall’introduzione a L’inattesa meraviglia
“Chi le dice che il vicino è più limitato del lontano?
Basta guardare qualcosa con attenzione perché si aprano delle prospettive senza limiti.
Anche un bottone può contenere l’universo.”
(I. Calvino)
Ci sono giorni in cui mi chiedo dove sto andando, e se tutto questo ha un senso.
Ci sono momenti in cui anche le cose più piccole pesano troppo, mi sembra di non farcela, mi manca il respiro.
E ci sono giorni – per fortuna, per Grazia – in cui tutto mi è leggero, rapido, facile: è quando riesco a trovare la forza per aprirmi al mondo e all’incontro con l’altro, quando mi ricordo di tenere sempre gli occhi aperti all’inatteso, ai regali di aria e di luce che ogni giorno mi mette davanti.
Allora, arriva la poesia: le parole entrano poco a poco nell’anima e sciolgono un nodo, lo trasformano in aria chiara, in vento leggero, ne fanno musica, ne fanno silenzio, afferrano l’essenza – o i labili contorni – dell’istante e ne restituiscono l’incanto, semplice e profondissimo.
La poesia – la scrittura, l’arte – ferma il tempo, lo accelera, ti interpella direttamente, ti obbliga a togliere la polvere dalle cose per vederle brillare di nuovo.
Si nasconde nei dettagli, nell’infinitamente piccolo, nella grandezza senza limiti del nostro sguardo.
A cosa serve? Serve a rimettere a fuoco i giorni, a mettere fuoco ai giorni, ad acuire il dolore e a sanarlo, a rompere catene, a togliere peso, a regalare ali.
Serve per marcare il tempo, per avere un punto d’appoggio, per sapere chi sono io, per intuire chi sei tu. Per avvicinarmi all’essenziale, per non avere paura, per continuare diritta nel cammino. Per mettermi alla prova, per continuare a sbagliare, per imparare, per dimenticare, per non dimenticare. Per trattenere il volo dell’istante, recuperarne tutti i dettagli, restituirlo al vento nello stesso modo in cui l’ ho ricevuto, a braccia aperte e cuore leggero, danzando.
Di fatto, allora, ciò che qui ha preso forma di libro non è nulla più che una collezione di attimi, per ricordare - a me stessa prima di tutto – che ogni giorno è fatto di singoli istanti speciali, non uguali a nessun altro, preziosi ed unici anche nella loro piccolezza e precarietà: improvvisi scarti dal noto, deviazioni repentine dal percorso abituale, risveglio dei sensi assopiti forse da una mancanza di ossigeno per gli occhi e per il cuore, quell’ossigeno che i bambini sembrano respirare in continuazione e che li rende così vivi e nuovi e curiosi delle cose del mondo. Questo è ciò che ho cercato di raccogliere in una sorta di cahier de voyage, un album di parole che si inseguono e si intrecciano per raccontare – come fanno i cantastorie nelle piazze, o i saltimbanchi per le vie delle città – l’inattesa meraviglia intravista attraversando il tempo con passo leggero.